Buongiorno Luca, a nome di Appennino.tv volevo innanzitutto ringraziarti per la disponibilità e per il tuo prezioso lavoro da rifugista.

Inizierei con il farti una domanda che sicuramente ti hanno fatto già tante volte, come si diventa rifugisti e quali sono gli aspetti positivi e quali i negativi? Una vita che molti vorrebbero fare, ma in realtà molto dura, specie in un rifugio come il Franchetti. Cosa ti ha spinto a farla?

Come si diventa rifugista

Sei gentile ma non credo mi siano dovuti ringraziamenti: faccio il mio lavoro e ne traggo di che vivere e cerco di farlo come meglio posso, punto.

Fatta questa premessa devo dire che in effetti la tua domanda  mi viene posta di frequente. Io ho iniziato molto giovane, a 18 anni, a gestire il rifugio Duca degli Abruzzi al Gran Sasso e rifugista ci sono diventato per caso e per passione: per caso perché il Duca all’epoca era abbandonato a se stesso e nessuno si sognava di prenderlo in gestione, per passione perché una volta girata la vecchia chiave nella toppa del portone mi sono sentito finalmente là dove volevo essere a fare ciò che volevo fare: ero il gestore di un rifugio di montagna, ero felice di essere lassù a lavorare, a guadagnarmi da vivere in un posto così meraviglioso e speciale. Era il 1982: passai sei bellissimi e durissimi anni in quel rifugio dove mancava tutto e tutto doveva essere portato a spalla, una fatica che mai avrei immaginato, ma quelli furono gli anni più intensi della mia vita. Poi nel 1988 lasciai con un po’ di magone il Duca per prendere la gestione del Franchetti: si ricominciava un’altra avventura.

Quando iniziai a lavorare nei rifugi all’idea romantica del rifugio tranquillo, isolato in alto tra le montagne si contrappose fin dai primi anni la fatica fisica e l’immancabile stress che il lavoro in rifugio comporta: i carichi a spalla, le continue infinite manutenzioni, la routine di cucinare, pulire, dare alloggio agli ospiti, il rapporto con tanta gente brava e simpatica tra la quale a volte si mischia qualche persona che gentile e simpatica non riesce ad essere e che snerva chi sta facendo il proprio lavoro come meglio può. Insomma gestire un rifugio è un lavoro faticoso, come certo tanti altri ce ne sono, e come tutti i lavori impegnativi a fine stagione arriviamo esausti ed esauriti, è parte del gioco. Poi c’è l’inverno, si cambia vita per qualche mese e poi a primavera torniamo pronti per un’altra stagione.

Luca al lavoro
Luca al lavoro

Toglici una curiosità, tu che vivi ogni giorno queste montagne, Quali sono i sentieri del Gran Sasso che preferisci?

Proprio perché vivo praticamente tutto l’anno in montagna posso dire di non avere zone preferite: il Gran Sasso è veramente bello tutto, ci sono sentieri di ogni genere: tutti bellissimi, facili o impegnativi che siano, dal Corno Grande alle cime minori. Ma devo essere sincero, mi piacciono davvero poco tutti quei sentieri che in agosto e in qualche altro fine settimana estivo vengono presi d’assalto da centinaia di persone che vi si accalcano in fila indiana. Allora al Corno Grande e al Corno Piccolo, per quanto siano posti meravigliosi, preferisco zone più isolate e solitarie: la Conca del Sambuco al Pizzo Intermesoli, il versante nord del Prena e del Brancastello, il Monte Corvo. Non voglio essere snob, solo non apprezzo la confusione.

Passando alla tua creatura, in che modo si rifornisce il rifugio e come sono cambiati gli ospiti negli ultimi anni?

Un rifugio come il Franchetti per poter lavorare bene ha necessità di 150 quintali di merce a stagione. La gran parte la trasportiamo in elicottero con due voli a inizio e metà estate, in totale una trentina di rotazioni con altrettanti bancali stipati di tutto: scatolame, farine, bombole di gas, dolci, legname, cemento, bibite e bevande, acqua, e altri centinaia di articoli. E’ un grosso lavoro imballare e preparare tutto, una fatica che molti non considerano e che ci impegna fin dalla primavera. E poi c’è il costo non indifferente dell’elicottero, che si noleggia per circa 23 euro più iva al minuto e ogni anno vanno via tra le 4 e le 6 ore di volo, il calcolo della spesa è facile… Ma due voli in elicottero non bastano: i viveri freschi come carne, pane e verdure salgono a spalla, e così anche tutto ciò che con l’elicottero non si è potuto portare su perché se ne avuta esigenza solo dopo il volo. A spalla facciamo almeno un carico a testa a settimana, spesso due, pesanti tra i 20 e i 30 kg; non abbiamo mai tenuto un conto preciso ma grosso modo se portiamo 120 quintali in elicottero almeno altri 20/30 li portiamo a spalla, quintale più, quintale meno. Tanto è necessario perché un rifugio possa accontentare una massa di ospiti che ogni anno aumenta di numero, perché il turismo di montagna è in lieve ma costante crescita da almeno trent’anni, anche se le amministrazioni e la politica sembrano non capirlo e non si investe che briciole per incentivarlo. Ma questo è un lungo discorso.

Un carico in arrivo

In un recente post hai sottolineato i problemi idrici che potrebbero mettere a rischio le aperture di ottobre. Puoi spiegare, perché? Come hai visto cambiare il Calderone in questi anni?

Alla ricerca della “sorgente” del Calderone

E’ oramai risaputo: i ghiacciai sono in sofferenza in tutto il mondo e il Calderone non fa certo eccezione. Trent’anni fa anche in piena estate si scendeva scivolando sugli scarponi sulla neve che riempiva la conca dalla morena alla selletta presso la cima, ora già a fine luglio il Calderone è una distesa di pietre e detrito, la neve sparisce e di ghiaccio rimane solo più qualche sparuto residuo. La nostra unica fonte d’acqua è una vena che scorre sulle rocce ed è alimentata dallo scioglimento della neve e del ghiaccio fossile del Calderone: quando la neve e il ghiaccio vengono meno anche l’acqua stenta e anche se finora proprio a secco non siamo ancora rimasti temo che nei prossimi anni avremo sempre maggiori problemi, soprattutto verso la fine dell’estate, quando la neve invernale accumulata viene a mancare.

Il ghiacciaio del Calderone a fine estate 2019

Nei giorni scorsi una frana sul Corno Piccolo ha fatto tornare di attualità la possibilità di limitare l’accesso al turismo di massa e l’uso eccessivo delle ferrate. Qual è la tua opinione a riguardo, in particolare rispetto proprio al Corno Piccolo.

La montagna ha dei pericoli che sono oggettivi: è un terreno che non può essere addomesticato e messo in sicurezza sempre e comunque. Bisogna fare tutto il possibile per rendere sicure le vie ferrate e i sentieri: verifica puntuale degli ancoraggi, delle corde d’acciaio, delle scalette, disgaggio dei massi pericolanti, ecc., però non si eliminerà mai un rischio residuo che è insito nella montagna tanto per chi faccia alpinismo quanto per il semplice escursionista. La montagna ha i suoi pericoli e non è possibile né sensato affrontarli con chiusure e divieti, se non in rari particolari casi. Credo si debba operare con la prevenzione e l’informazione: chi affronta un sentiero o una ferrata non sempre è veramente consapevole dei rischi che si prende, del fatto che anche sul sentiero del Franchetti, tanto per fare un esempio, può succedere il peggio. Eppure in quanti sanno che gran parte del sentiero che sale al rifugio è stato tracciato attraverso i massi di antiche ciclopiche frane, che a tutt’oggi massi anche di grandi dimensioni precipitano dal Corno Piccolo e rischiano di arrivare sul sentiero più affollato del Gran Sasso? Un paio di cartelli che invitino gli escursionisti a non fermarsi a far picnic sotto le pareti, a non tagliare il sentiero e a fare attenzione non sarebbero una cattiva idea.

Ferrata Ricci alla vetta orientale

La stagione invernale è alle porte. Il Franchetti è pronto ad ospitare gli alpinisti che vogliono avventurarsi sui numerosi canali che saranno presto innevati.

Il rifugio in veste invernale

Vuoi parlarci del locale invernale e ricordare quali sono le buone norme di condotta da seguire?

Come tutti i rifugi, quasi tutti, anche al Franchetti c’è un locale invernale sempre aperto anche quando il rifugio è chiuso. Si compone di tre locali: un ingresso con tavolo e panche, un piccolo locale per scarponi, sci, piccozze, e una camera con tre posti su letto a castello e una brandina. Quattro posti comodi quindi. In una cassetta sopra il tavolo c’è un telefono di emergenza col quale è possibile chiamare 112 e 118. Il dormitorio è provvisto di coperte e stuoini e una dotazione di emergenza per chi dovesse fermarsi la notte per qualche emergenza. Il consiglio per chi programma di passare la notte nel locale è di essere autonomo con proprio sacco letto, fornello e cibo. Poichè la temperatura va sottozero e poi per tutto l’inverno l’acqua non c’è, bisogna organizzarsi portandola da valle o sciogliendo la neve. L’uso del locale invernale è libero e gratuito: quello che chiediamo agli ospiti è di lasciarlo ordinato e pulito e di chiudere per bene sia il portone d’accesso che gli sportelli metallici e le finestre perché altrimenti il vento potrebbe spaccare tutto e riempire il locale di neve rendendolo inutilizzabile. Chiedo anche di segnalare eventuali danni accidentali o meno con una telefonata al 3332324474 o una mail all’indirizzo lucamazzoleni@rifugiofranchetti.it

Sei stato gentilissimo Luca, ma prima di salutarci vorrei togliermi una curiosità. Ci racconti la giornata tipo del tuo inseparabile Zen?

Io col mio cane ci vivo: al rifugio, a casa a Pietracamela e quando sono a Roma lui condivide la mia vita, o quasi. Abbiamo abitudini differenti a seconda se siamo in montagna o in città ma la prima cosa che facciamo al mattino, certo dopo aver preso un caffè, è una bella passeggiata. Quando siamo qui a Pietracamela andiamo nel bosco della valle del Rio Arno, lungo la stradina che sale verso i monumenti a Cambi e Cicchetti e la centralina idroelettrica. È un posto meraviglioso: estate e inverno, con la neve alta o sotto la pioggia battente è una passeggiata a cui tengo molto. È la bellezza allo stato puro, solo questi 40 minuti di passeggiata valgono la scelta di vivere qui a Pietracamela. Finita la passeggiata si torna a casa e inizia la giornata, ma una giornata tipo non la abbiamo: una volta ci si rintana vicino la stufa tutto il giorno, un’altra si scende a valle per commissioni e un po’ di nuoto in piscina, o devo andare a Roma e mi metto in auto verso il valico delle Capannelle, spesso mi allaccio gli scarponi, prendo lo zaino e corro su ai Prati di Tivo per salire a lavorare al Franchetti…

Luca e Zen

Tutte le foto sono state concesse dall’autore per l’inserimento in questa intervista.

Percorsi nel gruppo del Gran Sasso

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