Dopo aver parlato della montagna d’inverno e quindi di ipotermia iniziamo a parlare di trauma e di eventi traumatici.
Un grosso fattore limitante quando si va in montagna, soprattutto nell’alpinismo in quota, è il peso: tutti sappiamo che mezzo chilo in più nello zaino, portato per tante ore e chilometri, oltre che per un dislivello importante, può comportare un grosso limite durante la nostra escursione.
In base all’attività che stiamo svolgendo sia essa una semplice escursione, un’arrampicata, una via alpinistica o una ferrata, cadute, urti sulla parete o cadute di sassi sono sempre eventi potenzialmente pericolosi: quanti di noi indossano il casco quando sono su un tratto con possibile caduta sassi? Quanti lo usano in falesia? Molto probabilmente tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo rinunciato a portarci il casco dietro (ingombrante e scomodo) pur sapendo dei possibili rischi legati ad un trauma cranico o lesione cerebrale: in questi casi indossarlo potrebbe preservare il malcapitato da lesioni potenzialmente mortali, ma non eviterà in assoluto ferite lacero-contuse, commozioni cerebrali o trauma cranici.
Quello che è fondamentale comunicare da parte di chi ha assistito all’incidente è: la dinamica. Conoscere cosa sia successo e le modalità che hanno portato al trauma è un fattore importante per valutare traumi maggiori da quelli di minore entità.

Nella gestione del trauma, sicuramente una delle parti del corpo che cerchiamo di tutelare maggiormente è la testa: un trauma cranico, senza entrare troppo nel campo medico, ha dei sintomi che non andrebbero mai sottovalutati e, visto che questo articolo divulgativo è rivolto a personale “laico” (personale non sanitario), utilizzeremo un metodo molto semplice e speditivo insegnato in tutti i corsi PTC (Pre-hospital Trauma Care, secondo linee guida della società scientifica IRC), per valutare lo stato di coscienza: uno stato vigile ed orientato è l’unico segno di “normalità”; difficoltà di movimento o disturbi del linguaggio, mal di testa, vertigini, nausea, vomito, disorientamento, confusione, disturbi visivi sono, invece, tutti sintomi di problematica di tipo traumatico (l’elenco non è esaustivo). La persona infortunata, in questo caso, va fatta sedere con la parte superiore del busto eretta, non va somministrato cibo o acqua, le ferite lacero-contuse vanno coperte con garze sterili, il corpo deve essere tenuto al caldo.
Scontato ma, repetita iuvant, in queste situazioni si devono immediatamente allertare i soccorsi tramite i numeri che si conoscono (118/112) e cercare di fornire quanti più elementi possibile alla centrale operativa tra i quali:
- dati dell’infortunato, numero di telefono dalla quale si sta chiamando;
- descrizione dell’evento, orario dell’accaduto, numero infortunati, pericoli presenti o potenziali;
- stato di coscienza/incoscienza (appena descritto quindi: vigile ed orientato o vigile ma non orientato o incosciente)[1].

[1] Il soccorso specializzato usa un metodo speditivo denominato AVPU (non è l’unico) per classificare lo stato di coscienza: Allert, Verbal/Vocal, Painful, Unresponsive quindi paziente sveglio cosciente e reattivo, paziente che reagisce ad uno stimolo verbale, paziente che reagisce ad uno stimolo doloroso, paziente incosciente. Si prende a riferimento la migliore risposta delle quattro.
Il contenuto di questo articolo è a titolo prettamente informativo e non costituisce una base sufficiente per poter affrontare in sicurezza la montagna. Si invitano gli interessati a seguire appositi corsi organizzati dai professionisti del settore.