Dopo aver parlato della montagna d’inverno e quindi di ipotermia iniziamo a parlare di trauma e di eventi traumatici.

Un grosso fattore limitante quando si va in montagna, soprattutto nell’alpinismo in quota, è il peso: tutti sappiamo che mezzo chilo in più nello zaino, portato per tante ore e chilometri, oltre che per un dislivello importante, può comportare un grosso limite durante la nostra escursione.

In base all’attività che stiamo svolgendo sia essa una semplice escursione, un’arrampicata, una via alpinistica o una ferrata, cadute, urti sulla parete o cadute di sassi sono sempre eventi potenzialmente pericolosi: quanti di noi indossano il casco quando sono su un tratto con possibile caduta sassi? Quanti lo usano in falesia? Molto probabilmente tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo rinunciato a portarci il casco dietro (ingombrante e scomodo) pur sapendo dei possibili rischi legati ad un trauma cranico o lesione cerebrale: in questi casi indossarlo potrebbe preservare il malcapitato da lesioni potenzialmente mortali, ma non eviterà in assoluto ferite lacero-contuse, commozioni cerebrali o trauma cranici.

Quello che è fondamentale comunicare da parte di chi ha assistito all’incidente è: la dinamica. Conoscere cosa sia successo e le modalità che hanno portato al trauma è un fattore importante per valutare traumi maggiori da quelli di minore entità.

Dicembre 2019, soccorso intervenuto sul monte Terminillo per due giovani alpinisti scivolati nel canalone centrale.

Nella gestione del trauma, sicuramente una delle parti del corpo che cerchiamo di tutelare maggiormente è la testa: un trauma cranico, senza entrare troppo nel campo medico, ha dei sintomi che non andrebbero mai sottovalutati e, visto che questo articolo divulgativo è rivolto a personale “laico” (personale non sanitario), utilizzeremo un metodo molto semplice e speditivo insegnato in tutti i corsi PTC (Pre-hospital Trauma Care, secondo linee guida della società scientifica IRC), per valutare lo stato di coscienza: uno stato vigile ed orientato è l’unico segno di “normalità”; difficoltà di movimento o disturbi del linguaggio, mal di testa, vertigini, nausea, vomito, disorientamento, confusione, disturbi visivi sono, invece, tutti sintomi di problematica di tipo traumatico (l’elenco non è esaustivo). La persona infortunata, in questo caso, va fatta sedere con la parte superiore del busto eretta, non va somministrato cibo o acqua, le ferite lacero-contuse vanno coperte con garze sterili, il corpo deve essere tenuto al caldo.

Scontato ma, repetita iuvant, in queste situazioni si devono immediatamente allertare i soccorsi tramite i numeri che si conoscono (118/112) e cercare di fornire quanti più elementi possibile alla centrale operativa tra i quali:

  • dati dell’infortunato, numero di telefono dalla quale si sta chiamando;
  • descrizione dell’evento, orario dell’accaduto, numero infortunati, pericoli presenti o potenziali;
  • stato di coscienza/incoscienza (appena descritto quindi: vigile ed orientato o vigile ma non orientato o incosciente)[1].

Due braccia tese verso l’alto indicano all’elicottero la richiesta di soccorso; un braccio su ed uno giù indicano che non si ha necessità di soccorso.

[1] Il soccorso specializzato usa un metodo speditivo denominato AVPU (non è l’unico) per classificare lo stato di coscienza: Allert, Verbal/Vocal, Painful, Unresponsive quindi paziente sveglio cosciente e reattivo, paziente che reagisce ad uno stimolo verbale, paziente che reagisce ad uno stimolo doloroso, paziente incosciente. Si prende a riferimento la migliore risposta delle quattro.

Il contenuto di questo articolo è a titolo prettamente informativo e non costituisce una base sufficiente per poter affrontare in sicurezza la montagna. Si invitano gli interessati a seguire appositi corsi organizzati dai professionisti del settore.

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