Baltasar Kormákur (USA / 2015 / 121’ / Drammatico

Un kolossal cinematografico, un cast stellare, un must del genere per rappresentare magistralmente “la tragedia dell’Everest del 1996”.

Un gruppo composto da persone eterogenee e affidato alla guida di Rob Hall (Jason Clarke), proprietario dell’Adventure Consultants, si accinge a sfidare la natura e scalare l’Everest. Al campo base, un altro gruppo formato dall’alpinista Scott Fischer (Jake Gyllenhaal) per Mountain Madness e numerosi altri turisti rendono affollato il tentativo di scalata, tutti con il desiderio di raggiungere i 8848m della vetta più alta del mondo. Per ovviare a questo problema, Rob e Scott decidono di collaborare e fissare la data di partenza in comune dal campo IV il 10 maggio 1996. Lungo la scalata alcuni clienti hanno delle difficoltà, a cui si sommano problemi organizzativi, come l’assenza di corde fisse in due punti nodal, The Balcony e Hillary Step, per cui l’arrivo sulla vetta viene ritardato.

Durante la via del ritorno, un’improvvisa e forte tempesta mette in grave difficoltà gli scalatori, che si ritrovano a fronteggiare ostacoli al limite delle loro possibilità. Alcuni di loro, tra cui anche lo stesso Hall, non riescono a sopravvivere, mentre l’alpinista Beck Weathers (Josh Brolin), dopo aver passato una notte all’addiaccio, riesce a tornare al campo dove viene recuperato da un elicottero Ecureuil, che per la prima volta raggiunge tale quota.

La narrazione si basa principalmente sul libro Left for Dead dello stesso Beck Weathers, ma cerca di mediare tra le testimonianze contrastanti di altri alpinisti presenti quel giorno, esposte in Aria sottile di Jon Krakauer e The Climb di Anatoli Boukreev.

Su questa base di realismo, regia e fotografia collaborano per la definizione di un’atmosfera apocalittica, in cui atti eroici e disfattismo si mescolano, mantenendo alta la tensione nel secondo tempo, mentre la prima ora è dedicata a un’attenta descrizione della spedizione e alla profezia dei pericoli che questa comporta. Tuttavia la Natura, sulle prime, si mostra accogliente e invitante, ma ben presto spezza il destino di quegli uomini e donne troppo presuntuosi e fiduciosi in sé stessi. La mancanza di ossigeno è sempre in agguato, si vive in prima persona la sofferenza e il mal di quota, ma allo stesso tempo viene banalizzata la tecnica alpinistica e la realistica difficoltà dell’impresa in favore di più lineari esigenze drammaturgiche.

Un cast di grandi attori che però interpretano personaggi solamente abbozzati, in quanto numerosi e schiacciati dalla presenza e dalla potenza della montagna, di cui però il regista islandese nasconde le componenti di fascino e romanticismo per narrarne una visione distorta e laica frutto dell’Occidente. Inoltre, le vicende storiche sono perennemente affiancate da storylines melodrammatiche e puri sentimentalismi, che mettono in risalto i rapporti tra gli alpinisti e le mogli (Keira Knightley, Emily Watson), personaggi forti ma condannati ad attendere a casa senza certezze e in balia del fato.

Il film centra una tematica sensibile, quella del turismo di montagna, ormai diventato turismo di massa, che lascia a persone comuni l’illusione di potersi avvicinare a imprese irrealizzabili, e rende tangibili esperienze inaccessibili ai poco esperti di alpinismo, per poi distruggerli fisicamente e psicologicamente. Infatti, dopo la conquista della vetta nel 1953 da parte di Edmund Hillary e dello sherpa Tenzing Norgay, le scalate al Monte Everest si moltiplicarono e all’inizio degli anni ’90 diventarono un vero e proprio business, non creando più eroi, ma vittime di un sogno. Il film denuncia in modo esplicito la commercializzazione di una pratica che perde il suo lato aulico e religioso, ma consiste nel desiderio di una celebrità autoreferenziale, mostrando il dolore che ne consegue. Si può dire che il film rinsalda il messaggio lasciato da George Mallory, alpinista inglese morto sulla celebre vetta nel 1924: l’Everest è lì a ricordarci il rispetto che si deve alla natura e all’altezze inaccessibili.

Lo sapevi che… Il film, con un budget di circa 65 milioni di dollari, è stato girato in Nepal nelle colline pedemontane dell’Everest, sulle Alpi italiane (Val Senales in Alto Adige), nei Pinewood Studios nel Regno Unito, mentre il campo base è stato allestito a Roma presso gli Studios di Cinecittà.

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