Carie, un progetto audiovisivo per documentare e valorizzare le cave di marmo di Carrara, che mette in mostra un luogo martoriato in antitesi con le bellezze naturali di cui si circonda. La disciplina dell’arrampicata diventa voce di un territorio e di una comunità in sofferenza, laddove montagna e artificiosità si mescolano, uomo e natura sono costretti a convivere nel labirinto di linee ortogonali, fonte di reddito ed eleganza.

Da una parte l’arrampicata, allegoria di libertà e rispetto dell’ambiente, dall’altra la rigidità marmorea che costringe alla sofferenza il territorio di estrazione. “Carie è un buco frutto di un tarlo che risponde al nome di arrampicata” (Marzio Nardi). Le Alpi Apuane ospitano il più grande bacino marmifero al mondo, che offre il famoso marmo bianco di Carrara. Negli ultimi decenni la pratica di cavatura si è intensificata grazie a metodi sempre più tecnologici, provocando uno stravolgimento del paesaggio circostante, causando valloni ripieni di detrito instabile, cime recise e valichi irriconoscibili. Si può pensare che arrampicare in cava giustifichi vagamente l’attività estrattiva, ma non è così. Carie non legittima il processo artificiale sulle apuane, non denuncia, ma si limita a lanciare uno sguardo affascinato e preoccupato verso un mondo pieno di contraddizioni in cui convivono bellezza, storia e profitto.
Il teaser del film
CARIE Teaser from Achille Mauri on Vimeo.
Il film è frutto di un progetto durato mesi, di un viaggio nel profondo di quelle voragini bianche, alla scoperta dei paradossi celati dal forte impatto visivo di quelle linee verticali. Carie si chiede come sia possibile che l’istinto di distruzione abbia creato un ambiente così visivamente attraente e di una perfezione coinvolgente. Gli arrampicatori hanno approcciato il marmo grazie alle fessure create dalla mano dell’uomo per distruggere la montagna, “L’arrampicata esiste là dove la si vuole vedere. E’ una cosa che ha a che fare con la nostra apertura mentale, con il numero di prospettive diverse con le quali siamo disposti a osservare una scena, fino a ribaltarne il significato. Fino a far diventare bello ciò che era brutto e a dargli una nuova vita (Marzio Nardi)”.

La storia e la filosofia delle cave di marmo
Per comprendere storia e filosofia di quel luogo, il team ha iniziato presto a indagare con l’aiuto di coloro che lo vivono e lo lavorano: “Davanti a tutto questo, l’estetica non basta: ti viene voglia di capirne le sue ragioni, le sue origini. Era fondamentale ascoltare le persone che gravitano attorno a questo mondo, a questa materia, il marmo, che da risorsa è degenerata in dipendenza (Marzio Nardi)”.
Qui convivono minatori, geologi, ambientalisti, ognuno con il proprio punto di vista, strettamente collegato all’attività che vi praticano, ma tutti vittime del fascino del bianco e lucente marmo. Il progetto, nella sua universalità, ha voluto dimostrare come l’idea di un luogo sia condizionato dalla nostra interazione con esso, dai nostri interessi e le nostre intenzioni. “Vogliamo diventare il simbolo di una riconversione economica, un riscatto che possa essere da monito e da esempio per il resto del mondo (Eros Tetti)”.
Allo stesso tempo gli autori hanno voluto seminare segnali di speranza, in vista di un possibile ripristino del territorio naturale, e idealizzare un futuro di collaborazione per restituire dignità a una natura sfregiata dal lavoro umano. “La riqualificazione dei siti estrattivi è fattibile, ma questo implica dei costi per la loro messa in sicurezza: servono escavatori, camion, personale specializzato come i tecchiaioli. Il reperimento dei fondi è una delle difficoltà principali. Non lo sono invece le idee sul riutilizzo delle cave, che possono essere molteplici (Chiara Taponecco)”.

Il progetto Carie
Così si presenta Carie: un progetto cross-mediale realizzato da un team a low budget. Marzio, campione di arrampicata sportiva, che ha abbandonato presto le competizioni per inseguire la creatività insita nella disciplina e cercare di superare i confini imposti dalla tecnica. Achille, videomaker leccese amante delle montagne che cerca di analizzare il rapporto tra uomo e ambiente, nell’unione di etica, estetica e atletica. Federico, fotografo torinese che cerca di raccontare il mondo degli sport outdoor, contro l’impoverimento culturale di cui discipline come l’arrampicata ultimatamene sono vittime.
Dopo lo shooting per il catalogo Rockslave, il team si è nuovamente ritrovato a Carrara, tra quelle valli aspre, quella geometria ridondante e quegli enormi buchi, per raccogliere storie che solo lì esistono. Vi incontrano Chiara Taponecco, geologa che cerca di combinare il suo amore per le Alpi Apuane e il suo contributo alla distruzione, presentando una possibilità di riscatto e di riduzione dell’attività estrattiva. Accanto a lei Roberto Bombarda, tecchiaiolo, vede le cave esclusivamente come territorio da martellare e recidere, unica fonte di sostentamento. “Una volta si cominciava così, da ragazzini, perché le cave si trovavano vicino ai paesi dell’entroterra. Gli adulti te lo chiedevano in dialetto, e il giorno dopo eri lì, a presentare il libretto al capo dei cavatori, e iniziavi a lavorare senza nemmeno una visita medica. Nella mia famiglia si fa così da tre generazioni (Roberto Bombarda)”.

La resistenza di Colonnata
A pochi chilometri del bacino estrattifero sorge Colonnata, tuttora fronte di resistenza all’avanzamento delle cave, un cuore verde in mezzo al bianco sgargiante. Qui i bambini sembrano voler scappare dalla tristezza che avanzava insieme all’espansione delle cavate e decine produttori di quel tesoro enogastronomia di cui Colonnata è principale esportatore (il celebre lardo di Colonnata) cercano di fuggire da un’economia selvaggia e monocolore che sta mangiando la ricchezza e la terra sotto i loro piedi.
Le alternative a questo mondo di sfruttamento territoriale negli ultimi tempi si fanno sempre più presenti e popolari, come ad esempio il movimento Salviamo le Apuane, di cui Eros Tetti è il fondatore. Eros, ecologista convinto, pensa a una realistica possibilità di riscatto, immaginando di trasferire la manodopera delle cave sui monti per coltivare la terra e prendersi cura di campi o pascoli. Le buone intenzioni ci sono, ma manca l’infrastruttura per poterle supportare, eppure vale la pena fare un tentativo, più che altro per evitare di ridurre paesi caratteristici come Colonnata a villaggi fantasma. “Questo è il marmo che va in tutto il mondo… se tu chiudi le cave di Carrara, cosa vai a chiudere? (Roberto Bombarda)”.

Il potere creativo dell’arrampicata
Mai uno scalatore penserebbe di inerpicarsi su una cava marmorea laddove la terra presenta falesie e pareti spettacolari. Tuttavia, il team proprio su quei monti squadrati hanno riscoperto il potere creativo dell’arrampicata e hanno dato un senso a luoghi dimenticati dietro le mura dell’indifferenza. La troupe del progetto è riuscita ad attribuire un valore positivo alla cicatrice provocata dall’uomo al suo stesso habitat per avidità e ingordigia produttiva, osservando con occhi diversi quella famosa chiazza bianca tra il verde delle Apuane che sta man mano scomparendo. “Ho pensato che l’arrampicata potesse ridare una dignità a queste montagne ferite (Marzio Nardi)”.
Carie è quello che resta del processo di degenerazione di un luogo. E l’arrampicata diventa mezzo di investigazione e serbatoio di ispirazione per un’analisi sull’estetica e sulla storia. Un progetto che mette in relazione l’arrampicata con montagne non più montagne perché distrutte dall’attività estrattiva. Da qui nasce l’idea di Marzio, Achille e Federico: non limitarsi a documentare, ma dare voce a un territorio, una comunità. Studiare il delicato equilibrio tra montagna, verticalità e ostinazione, quando questi rappresentano l’anima delle Apuane, e al contempo i pilastri dell’arrampicata. “Ed è così che spazi dimenticati diventano teatro per nuovi gesti che seguono la linearità delle forme tra fessure e tagli di cava, tutto ciò che ci circonda è lontano da ogni concetto di montagna e l’arrampicata si manifesta come unico mezzo per restituirgli la sua dignità e fascino” (Achille Mauri).

La genesi del progetto
Il progetto nasce anni fa da un’osservazione di Marzio Nardi e il suo tentativo di dare vita a spazi in cui regna il vuoto e l’abbandono, carichi di un forte potere attrattivo. “Per questi luoghi, che altro non sono che delle ferite nella montagna, l’arrampicata può essere la cura. Il magnete che attira la creatività. Abbiamo interpretato le linee senza scavare appigli ma arrampicando su gli quelli già esistenti che l’uomo aveva scavato per altri fini” (Marzio Nardi). Adattandosi a quegli spazi, facendo attenzione a non alterarli ulteriormente, il team cerca di scalare e trasformare quei blocchi grezzi di marmo in opere d’arte: “Salire una parete dimenticata da tutti, apparentemente inutile e sgradevole, e darle così un senso… e, perché no, creando dell’arte a mia volta (Lorenzo Carasio)”.
Il prodotto finale è derivato da due diversi approcci filmici. Da una parte, un reportage prettamente sportivo, focalizzato sul gesto atletico dei climber e sulla coreografia armonica tra le linee ortogonali delle cave, in cui la tecnica si fonde con la bellezza estetica in funzione dell’obiettivo. Il tutto impreziosito da immagini in volo del dronista Roberto Giannocca. Dall’altra parte, un approccio documentaristico che si riscontra nelle scelte delle persone coinvolte, nei punti di vista esaminati e nella curiosità degli investigatori.

L’arrampicata come testimonianza dei cambiamenti ambientali
Con le immagini e le testimonianze raccolte l’arrampicata diventa esponente di forte tematiche ambientali, grazie al suo intrinseco legame con il territorio e alla facilità di comprensione da parte del pubblico non esperto. “L’idea di Carie è quella di utilizzare l’arrampicata come specchietto per le allodole, attrarre il pubblico attraverso le scene di azione per poi trattare argomenti più seri, ad esempio quello della cavatura. Il pubblico outdoor è di base molto attento alle tematiche ambientali, bisogna solo trovare il modo di catturare la sua attenzione e in questo lo sport si presta molto bene, una sorta di infotainment” (Federico Ravassard).
Da sempre lo sport si dimostra un potente mezzo di dialogo tra politica e società, è un linguaggio globale che riesce a comunicare con un pubblico trasversale. In questo caso il messaggio viene potenziato dalla spettacolarità delle immagini e la stretta connessione tra luogo di pratica e tematiche ambientali, evitando però che esse scadano in ostentato marketing e brandizzazione del trend green.

Il film sarà online il 27 aprile 2020 dalle 21 alle 24 sul canale Vimeo di Achille Mauri – @achillemauri.eu.