Dopo avervi offerto un’introduzione al libro “Se lo sguardo esclude”, vi proponiamo l’intervista fatta all’autore Cristiano Iurisci.
Cristiano, innanzitutto ti faccio i miei personali complimenti per il libro. L’ho trovato una lettura piacevole e, a volte, mi sono rivisto in alcune tue parole. Il pregio di queste pagine è proprio quello di dare un volto “umano” all’alpinista/appenninista, rifuggendo un po’ dall’idea di “superuomo” …
Il mio alpinismo è stato sin dall’inizio volto a scoprire il volto “verticale” del mio amato Appennino (le mie montagne di casa), di fare un alpinismo cosiddetto di ricerca. Ho iniziato tardi a fare alpinismo, non ho mai pensato a questa attività per diventare l’atleta di punta, oppure che ha innalzato il livello tecnico aprendo vie su chissà quali gradi o in velocità, oppure utilizzando meno protezioni fisse (chiodi, spit) possibili come suggerito da una evoluzione alpinistica che avviene a livello regionale, nazionale e mondiale. Non ho mai pensato di essere un superuomo, tantomeno super atleta, il mio alpinismo non poteva che essere “umano”, e le mie vie aperte avevano l’unico scopo di scalare una parete. Io mi preparavo per scalarla compatibilmente alle mie capacità, senza mai troppo stravolgere la mia vita con allenamenti puntuali e dedicati tipici degli atleti di punta. Avevo degli obiettivi alpinistici anacronistici per i tempi moderni. Nulla di nuovo, ma solo che volevo salire quella parete. E l’idea mi tormentava a tal punto che, pur non essendo all’altezza andavo a ficcarci il naso. Magari solo a vederla. E da cosa nasce cosa. Ovviamente tante cose non sono nate!

Ci racconti come è avvenuto il tuo passaggio dall’escursionismo, praticato per oltre quindici anni, al mondo del verticale?
Mi piaceva girare per le montagne, fossi, creste, valli, canyon, nevai, come anche vedere le pareti da vicino, ma non mi interessava scalarle. Non sapevo usare la corda e non avevo la corda, e non mi interessava saperla usare. Avevo sempre confidato nelle mie capacità. Il mio motto era: arrivo dove posso e poi torno dietro. Per gioco avevo provato anche l’arrampicata in una fiera su una torre artificiale, ma dopo un paio di tentativi ero giunto alla conclusione di non essere capace. Un giorno (1994) con Rino arriviamo in cima alla vetta Centrale del Corno Grande e siamo senza corda. Tornare indietro per la via Gualerzi (II°), non ci piaceva troppo, dunque decidiamo di raggiungere la vicina vetta Orientale che sembra a portata di mano. Un’ora dopo eravamo entrambi giunti sull’Orientale, ma quanta paura. Quel giorno ho deciso di capire come usare una corda perché la mia voglia di esplorazione mi portava spesso al limite dell’alpinismo, per sentieri scoscesi e rocciosi. La corda però l’ho comperata solo quattro anni dopo…così come un corso per saperla usare.
A me è piaciuto molto il cap. n. 4. Lo ritengo una sorta di “summa” della tua idea di alpinismo che, personalmente, condivido. Alla luce della tua esperienza e delle opinioni riferite in quel capitolo, quali consigli ti senti di dare ai giovani che si avvicinano alla pratica di questa disciplina?
Un paio di consigli: la passione e non avere fretta. Oggigiorno l’arrampicata e l’alpinismo sono attività molto distanti tra loro. Molti credono che una buona preparazione in arrampicata sia necessaria per diventare buoni alpinisti. Vero, anche, ma non sempre e non necessariamente. Testimonianze sono il fatto che l’alpinismo di cui parliamo (VI, V°) si faceva già nel 1930! Non c’erano palestre, scarpette, spit, corde elastiche ecc. Certo si moriva anche di più e si rischiava anche di più. Ora non è assolutamente auspicabile morire per una parete, o rischiare per una via. L’esempio è solo per sottolineare che per fare alpinismo fino al V°, è spesso solo questione di esperienza, di testa, piuttosto che di chissà quali capacità fisiche e arrampicatorie. La palestra serve per migliorare la tecnica, per saper dosare le energie, ma poi la roccia, quella vera, è il test definitivo. Iniziate con vie facili e fate esperienza senza lasciarvi prendere dalla foga di innalzare il grado. Tentare di fare vie difficili, solo perché in arrampicata (palestra o falesia) si è bravi a fare cose difficili, si rischia di arrivare a cercare in montagna solo vie ben protette e sicure. Maturare e crescere con lentezza, senza tralasciare l’arrampicata, a mio avviso è l’unica via per scalare dove ti porta il cuore.

In un altro capitolo del libro parli di gradi di difficoltà delle vie, del come essi siano relativi e, in un certo senso, personali, lasciando trasparire a volte il tuo disinteresse nei confronti della mera difficoltà di arrampicata. Tuttavia, in un momento della tua carriera hai voluto fare i conti con il limite del VII grado, superato brillantemente. Senti ancora il bisogno di confrontarti con difficoltà di arrampicata vicine al tuo limite?
Non sono mai stato una cima a livello atletico-sportivo, nonostante abbia praticato molti sport, la competizione era una cosa che aiuta a crescere nello sport, ma allo stesso tempo può discriminare. Quando sono arrivato a 30 anni all’alpinismo, rifuggivo qualsiasi confronto con quelli bravi. Non ero in gara con loro. Capita sempre di discutere e scalare con altre persone che la pensano diversamente. Ricordo come una guida alpina mi faceva i complimenti per il mio alpinismo esplorativo, ma mi accusava di rischiare perché non ero sufficientemente preparato, dunque rischiavo troppo. Non era l’unico, per cui ad un certo punto mi sono sentito di dover dimostrare agli altri il valore “assoluto” delle mie vie e del mio alpinismo. Con molta fatica e allenamento ho raggiunto il VII° e il 7a…ma ho capito che quella non sarebbe mai stata la mia strada. Non mi divertivo più, sentivo il dovere di allenarmi e di andare in palestra. Avrei tolto prezioso tempo nelle mie amate montagne. Non sento più il dovere di confrontarmi. Se mi alleno è per un progetto che mi sprona a farlo, non per dimostrare qualcosa.

Cristiano, le tre delle foto che hai gentilmente concesso alla nostra redazione sono incredibili. Quali emozioni hai rivedendole, quali i ricordi e come le commenti adesso dopo anni?
Mi scappa un sorriso. Dopo l’incidente del 2017, so che certe cose non lo farò più. Per cui le vivo come un passato ormai remoto. Sono stati momenti molto intensi. Dove la sera prima, e nei giorni precedenti la mia mente era focalizzata all’obiettivo. Ma questo faceva parte del gioco. Nessuna grande avventura si affronta senza i giusti sogni e le giuste paure.
Nel libro a volte parli del fatto che molti alpinisti si rifiutavano di seguirti in alcune tue vie, perché ritenute inutili perdite di tempo. Rifaresti tutte le scelte della tua carriera? C’è un momento in cui avresti voluto/potuto seguire strade differenti?
Rifarei tutto. Inizierei forse solo prima, quando la giovinezza sorregge più testa e fatica. Ho fatto quello che volevo fare, non vedo altre strade. Mi manca una spedizione.
Che gli altri alpinisti considerano le mie vie brutte, non al passo con i tempi, pericolose, poco divertenti e su roccia pericolosa è vero. Non tutti, ma molti. Fino a qualche anno fa mi dispiaceva molto, ora meno. Ho capito che sono solo i miei sogni ad essere diversi dai loro. Mi piace la montagna, e mi piace conoscerla appieno, camminando, sciando, affondando i miei piedi nella neve alta, oppure scalando se essa abbia una parete. Mi piace girare e conoscere. E se trovo una parete interessante diventa un progetto. Girando molto ho molti progetti. Sicuramente non è tra i miei progetti di andare in Provenza per scalare la roccia migliore al mondo, perché nei miei sogni non ho mai pensato alla Provenza. Altri sognano il granito di Yosemite, a me quelle montagne non piacciono, ma sono gusti personali. I miei sogni spesso sono dettati da motivazioni inconsce, magari da libri visti da bambino o dalle forme e dai paesaggi, non sono mai dettate dalla difficoltà o dalla perfezione della roccia e del gesto atletico. Davanti alla mia finestra vedo il profilo del Gran Sasso, della Majella, del Sirente e in quelle montagne immagino il mio alpinismo. Qualsiasi parete può essere una buona scusa per andarci a ficcare il naso e sognare e aggiungere sogni nel cassetto. Se non viene apprezzato da altri amen. Mi è capitato spesso di “pulire” la via aperta in una sconosciuta parete, un po’ per renderla più fruibile e sicura, ma soprattutto per poterci tornare con più tranquillità con i miei amici più cari.
Le foto che trovate nell’articolo sono state gentilmente concesse dall’autore alla nostra redazione.
Ringraziamo Cristiano Iurisci per la disponibilità e gentilezza.
