Visto l’avvicinarsi delle stagioni adatte all’alpinismo d’alta quota, parliamo in questo capitolo delle patologie che possono insorgere durante le nostre uscite alpinistiche, dai risvolti anche molto seri.
Cominciamo con una classificazione delle altitudini, già accennata in passato, ma che riportiamo per semplicità:
- Media quota: 1500 – 3000 m
- Alta quota: 3000 – 5500 m
- Altissima quota: oltre i 5500 m
Il mal di montagna è caratterizzato da un insieme di disturbi che possono insorgere quando l’alpinista si viene a trovare in un ambiente con carenza di ossigeno: infatti è noto che in montagna all’aumentare della quota diminuisce la pressione parziale di ossigeno nell’aria che viene inspirata e questa minore disponibilità di ossigeno diventa particolarmente evidente oltre i 3000 metri di altitudine. Queste sintomatologie sono più rare a quote medie (ma possono insorgere comunque) ma diventano frequenti o frequentissime a quote alte o altissime.

E’ bene tenere presente però che alcuni soggetti, per condizioni patologiche pregresse o per predisposizione, sono particolarmente suscettibili a queste variazioni pertanto potrebbero avvertire i disturbi tipici del mal di montagna anche ad altitudini inferiori.
La velocità di ascensione, l’altitudine raggiunta, l’entità dell’attività fisica ad alta quota, l’allenamento e l’acclimatamento sono tutti fattori che contribuiscono all’incidenza e alla severità del mal di montagna.
La concentrazione e la pressione parziale di ossigeno
In alta montagna, l’ossigeno presente nella miscela gassosa (il 21% di ossigeno) che compone l’aria che respiriamo è presente nella stessa percentuale di quella al livello del mare. Cambia però la pressione parziale che si riduce notevolmente con l’aumentare della quota. È questo il motivo per il quale al nostro organismo arriva un apporto di ossigeno insufficiente (ipossia ipobarica) per lo svolgimento delle normali funzioni fisiologiche: la pressione parziale di ossigeno nell’aria passa infatti da circa 160 mmHg a livello del mare a circa 110 mmHg a 3000 m, portando la saturazione di ossigeno nel sangue da 98% al 90%.
A quote comprese tra i 5-6000 m la pressione parziale di ossigeno scende a 80 mmHg e, sulla cima della vetta più alta del mondo, il monte Everest ad oltre 8800 m, la pressione parziale di ossigeno è meno di un terzo (circa 50 mmHg) rispetto a quella presente a livello del mare e la saturazione di ossigeno nel sangue può scendere sotto l’80-60% (condizione che al livello del mare, su dei pazienti, richiederebbe ossigenoterapia onde scongiurare possibili conseguenze fatali).

Non entriamo nel discorso fisiologico dello scambio di gas all’interno degli alveoli polmonari, delle pressioni in gioco ecc, ma ci limitiamo a dire che, per dare un ordine di grandezza, è stato calcolato come le nostre capacità diminuiscano mediamente del 30% sul Monte Bianco e dell’80% sull’Everest. Non male come dato considerando che l’ambiente dell’alta quota, oltre il fattore ossigeno, ha diversi fattori determinanti intrinseci come la temperatura, le distanze ed il dislivello da ricoprire, la variabilità del meteo e dei venti, la mancanza di un soccorso in tempi brevi in caso di necessità.
L’adattamento del corpo alle nuove condizioni
L’organismo per adattarsi alle nuove condizioni ha dei meccanismi di compenso (non entriamo nel dettaglio fisiologico) che possono adattarsi alle mutate situazioni, rendendo possibile lo svolgimento di determinate attività.
Per alcune persone però questo adattamento può risultare particolarmente difficoltoso o lento e la comparsa di alcuni sintomi caratterizzano il cosiddetto mal di montagna acuto (AMS): mal di testa, nausea, inappetenza, vertigini, spossatezza, insonnia.
Normalmente i sintomi, se di lieve entità, tendono gradualmente a regredire fino a scomparire specie se si concede all’organismo riposo o comunque con il passare dei giorni e l’aumentare dell’acclimatamento. Se questo non accade, l’unica possibilità è quella di portare il malcapitato ad una quota più bassa per consentirgli una ripresa normale dell’ossigenazione.
L’edema polmonare
Una pericolosa complicazione del mal di montagna è l’edema polmonare d’alta quota (HAPE) che provoca una grave insufficienza respiratoria dovuta ad accumulo di liquido negli alveoli polmonari: la persona colpita manifesta difficoltà alla respirazione, tachicardia, tosse con espettorato schiumoso, cianosi. In questi casi bisogna immediatamente scendere di quota ed allertare i soccorsi avanzati, non è possibile trattare l’edema sul campo.

Ma non è la sola patologia che può insorgere in quanto vi è anche l’edema cerebrale da alta quota (HACE) in cui si accumula liquido nella scatola cranica, con conseguente cefalea, stato confusionale e deambulazione incerta e scoordinata (atassia) e, se il disturbo non viene riconosciuto e trattato precocemente, può subentrare il coma e la morte. Tali sintomi possono progredire rapidamente da una forma lieve a una potenzialmente letale entro poche ore pertanto non sottovalutate mai comportamenti fuori dalla “normalità”.
Le raccomandazioni
La prime raccomandazioni che si possono fare quando si programma una uscita ad alta quota, è quella di raggiungere la meta prestabilita gradualmente, cercare di acclimatarsi in un arco di temporale quanto più ampio possibile: il processo di acclimatamento comincia già 24 ore dopo che siamo saliti ad una certa quota e si può considerare concluso dopo circa 3 settimane di permanenza in quota.
Quindi, se vogliamo attivare un meccanismo di acclimatamento dobbiamo “stressare” il nostro fisico portandolo a quote fra i 1000 e i 2000 metri superiori a quelle abituali e, se intendiamo fare un 4000 mt, tanto per fare un esempio concreto, è consigliabile prepararsi con un weekend dedicato a percorsi che arrivano fino a quota 3000, con pernottamento attorno ai 2000; successivamente qualche escursione a 3500-4000 mt per dormire a 3000 mt ed a questo punto, con il passare dei giorni ed avendo valutato la nostra performance, possiamo essere pronti per andare oltre i 4000 mt con delle possibilità in più di non incappare in problematiche fisiche importanti.
E’ consigliabile non assumere sonniferi e limitare il consumo di bevande alcoliche perché favoriscono l’insorgenza dei disturbi: per i farmaci ci limitiamo a dire che, pur essendoci terapie e farmaci adeguati al trattamento, non vogliamo suggerire nessuna pratica di autosoccorso in tal senso ma preferiamo che vi rivolgiate agli specialisti del settore … con la vita a 4000 mt non si scherza.
Scontato ma è sempre meglio ricordarlo: coloro che presentano problemi polmonari o cardiaci, o più semplicemente comunissime anemie di varia natura, prima di programmare escursioni e uscite ad altitudini considerevoli devono sempre preventivamente consultarsi con il proprio medico curante.
Il contenuto di questo articolo è a titolo prettamente informativo e non costituisce una base sufficiente per poter affrontare in sicurezza la montagna. Si invitano gli interessati a seguire appositi corsi organizzati dai professionisti del settore.