Le prime tracce della presenza umana in Val Trebbia risalgono al periodo neolitico come dimostrano i tanti manufatti ritrovati nel corso dei secoli in tutto il territorio piacentino.

Queste vallate erano popolate da tribù che tra mille difficoltà sopravvivevano grazie ad una agricoltura minimale, alla caccia ed alla pastorizia.

Durante il periodo romano a riprova della crescente importanza che questi territori avevano nei secoli prima di Cristo, sono il ritrovamento di strumenti da lavoro quali asce, terrecotte e frammenti di utensili in bronzo.

Nonostante la val Trebbia risulti essere defilata rispetto alle principali vie consolari dell’epoca (via Aurelia e via Emilia) nel suo comprensorio si disputà una battaglia che segnerà inequivocabilmente le cronache dell’epoca.

La battaglia della Trebbia combattuta durante la seconda guerra punica nel 218 a.c. tra Annibale ed il console Tiberio Sempronio influisce in modo profondo sulla società dell’epoca.

Il luogo della battaglia

Il luogo della battaglia venne scelto probabilmente da Annibale; una piccola radura priva di vegetazione, ma circondata da cespugli e con un corso d’acqua con sponde elevate che permettevano di rimanere ben nascosti, sarebbe stato il luogo perfetto.

Durante la notte, il generale Cartaginese fece nascondere le sue migliori truppe comandate dal fratello nel greto al riparo da quelle alte sponde in attesa del nemico.

Il mattino seguente, mentre la sua fanteria si rifocillava e scaldava davanti ad i bracieri, Annibale fece provocare dalla sua cavalleria i romani attirandoli nella trappola tesa dal fratello; ed i romani ansiosi di dar battaglia caddero nell’imboscata.

La fanteria leggera romana subì immediatamente gravi perdite che la costrinsero a ripiegare, infatti le truppe bagnate ed infreddolite, senza il loro pilum che avevano “sprecato” durante i primi scontri non avevano chance di vittoria.

Vedendo questa difficoltà della fanteria nemica Annibale, fà entrare in azione la sua cavalleria pesante, che schiacciò le ali romane e le annientò avendo una superiorità di 3:1.

A seguire le truppe scelte di Magone, che fino a quel momento si erano tenute in disparte e nascoste piombarono, all’ improvviso alle spalle dei Romani.

Questo era il momento per sferrare l’attacco più importante; così Annibale ordinò agli elefanti di attaccare, scatenando il panico tra le fila dei romani.

Il centro dello schieramento romano circondato ed allo sbando, fu attaccato senza tregua da Magone con tale foga, che in poco tempo le seconde e terze linee furono annientate.

Solo la prima linea riuscì, al prezzo di gravissime perdite a rompere l’accerchiamento e ripiegare verso Placentia.

La battaglia della Trebbia era terminata con l’ennesima vittoria di Annibale e la sconfitta pesantissima dell’esercito capitolino (si stima che Roma perse 12000/14000 uomini).

Storie e leggende

Molte sono le storie e leggende che ruotano attorno a questa battaglia.

La più eccentrica è quella di Surus, ultimo elefante di Annibale che stanco per il lungo viaggio ed a causa delle ferite riportare in battaglia, si trascinò stanco fino alla confluenza tra Aveto e Trebbia per trovare su quei monti il suo ultimo giaciglio (una associazione locale ha disegnato un sentiero a lui dedicato).

Infatti alla confluenza dei due fiumi vi è una strana conformazione rocciosa che ha le sembianze di un elefante che giace su un fianco.

Surus l’elefante della val Trebbia

Di questa battaglia molti hanno scritto e molti scriveranno, ciò che è certo è la presenza nel territorio di toponimi quali: Zerba (Djerba) e Cartago (Cartagine), inoltre studi recenti attribuiscono ad alcuni residenti di queste zone parte di DNA maghrebino, lasciando pensare che Annibale non abbia mai abbandonato queste valli.

Fonti

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