“Topo di Falesia” di Jeremy Charles Moffatt, meglio noto come Jerry Moffatt, edito da Versante Sud, la cui prima stesura è stata scritta nel pieno della maturità, giunto alla seconda edizione nel febbraio 2021, è il racconto autobiografico di uno dei più grandi arrampicatori inglesi e del mondo. Classe 1963, soprannominato “topo di falesia” perché è “colui che vive nella sporcizia, squattrinato, e corre incessantemente lungo pareti e camini”.
Sempre sostenuto dai genitori, che gli hanno insegnato l’arte del risparmio, scopre l’arrampicata intorno ai sedici anni grazie al suo amico Andrew Henry che faceva parte del Climbing Club della scuola, che organizzava regolarmente uscite in falesia. Diagnosticatagli la dislessia, dopo aver cambiato molti istituti, si è applicato molto nello sport. Prima nel rugby e nella corsa campestre, e poi nell’arrampicata, che diventerà la sua ragione di vita.
Lo scalatore inglese è considerato tra i migliori esistenti, nonostante l’evoluzione, nei vari paesi del mondo, della valutazione delle difficoltà di arrampicata dal primo grado, ad oggi, oltre il nono.
In Galles si mette in mostra nel 1979 chiudendo una via estrema, Mojo, ed una via estrema da primo Hydro. Nel 1983, a soli vent’anni, negli Stati Uniti completa il quartetto delle quattro vie, ritenute fino a quel momento, più dure del paese: Genesis e Psycho Roof nell’Eldorado Canyon, Supercrack nello Shawangunks ed Equinox a Joshua Tree. Tornato in Galles, il 15 luglio dello stesso anno a Dinas Crornlech ripete in solitaria sette vie, “un grande giorno nella storia dell’arrampicata britannica”. Queste sono solo alcune delle imprese più importanti che lo scalatore britannico ha compiuto.
Alternativo in tutto e per tutto, agli inizi viveva grazie al sussidio di disoccupazione (come molti altri scalatori), dormiva per lunghi periodi nelle grotte nei pressi dei siti di arrampicata o nelle baracche/bivacchi mal custoditi e quando le cose dal punto di vista logistico andavano meglio si appoggiava negli appartamenti condivisi con amici scalatori ed anche sconosciuti. Spesso si muoveva in autostop, anche per spostarsi tra un sito e l’altro, e mangiava gli avanzi dei locali della zona ed era solito bere l’acqua dei ruscelli limitrofi. Il tutto per risparmiare il più possibile per condurre una vita “economica”.
Ben presto le riviste specializzate iniziano a scrivere di lui. Nato come arrampicatore di falesia, ha lasciato il segno anche nel boulder, di cui è stato pioniere, che praticava soprattutto come allenamento. Tanto che molti settori e vie in Gran Bretagna hanno preso il suo nome come il traverso boulder Moffatrocity, Jerry’s Wall, Jerry’s Traverse, Jerry’s Arete e Jerry’s Roof.
La sua caparbietà e determinazione e il suo carattere socievole gli hanno permesso di viaggiare in tutto il mondo, soprattutto in Francia, Germania e Stati Uniti d’America, conoscere ed arrampicare con alcuni dei più grandi scalatori quali Wolfang Gullich, Kurt Albert, Ben Moon, Stefan Glowacz e Ron Fawcett.
“Quella era la cosa bella dei miei viaggi: non solo la possibilità di imparare tecniche e approcci di altri scalatori, ma anche di poter portare loro il proprio contributo”.
La vita di Moffatt è stata segnata da diversi infortuni e morti di amici, soprattutto quella del fratello più giovane di malattia. Si è sempre reso conto della pericolosità dell’attività da lui svolta e come lui stesso scrive: “in questo gioco non esiste una seconda possibilità, e anche solo una caduta, o un riposo, significano il fallimento”. D’altronde, si tratta di una disciplina nella quale si mette a repentaglio facilmente la vita e Jerry racconta diversi voli e cadute in cui ha rischiato per un soffio la pelle. Tutte le volte, anche se non è stato semplice, Moffatt è riuscito a tornare ad esporsi ai massimi livelli.
Quando tutti i più forti arrampicatori del settore si sono lasciati travolgere dallo spirito agonistico, ha deciso anche lui di dedicarsi alle gare. Un po’ per le sponsorizzazioni ed un po’ per sfida personale. Queste motivazioni hanno portato Moffatt ad approcciare all’arrampicata con una visione distante da quella iniziale. In ogni caso per lui l’obiettivo della vita era ed è sempre stato quello di “portare a casa una prima ascensione”.
Dopo aver partecipato a diversi tornei, il falesista inglese raggiunge l’apice della carriera nel 1989, quando trionfa nella Coppa del Mondo, disputatasi a Leeds (Yorkshire, Inghilterra), davanti al pubblico di casa. Inizia da qui una serie di successi internazionali per poi ritirarsi definitivamente dalle competizioni l’anno successivo (ultima gara, quinto posto ad Arco 1990). Nonostante sia stato all’attenzione delle gare per poco tempo, il suo nome comunque è entrato nella storia dell’arrampicata sportiva.
Nel libro scritto in forma narrativa ed in prima persona, e talvolta in terza, illustra i diversi stili di arrampicata ed il come essa si è evoluta nel corso dei decenni sia a livello di attrezzatura sia a livello di indumenti.
Nel testo si evince chiaramente che l’attenzione mediatica e la popolarità hanno permesso nel corso della vita a Moffatt di viaggiare ancora di più per il mondo. Si è stabilizzato e sposato con Sharon Wallace con cui vive in Inghilterra felicemente con due figli, e coltiva altre discipline sportive quali surf e golf.
Si ringrazia l’editore Versante Sud che ha reso possibile questa recensione. Potete acquistare il volume QUI.
