L’Appennino piacentino e quello emiliano romagnolo sono senza neve, a questo punto la stagione sciistica rischia il fallimento.

Questo è il risultato di un cambiamento climatico che oggigiorno è sotto gli occhi di tutti e che dopo la pandemia prospetta un altro anno di crisi per il settore anche in provincia di Piacenza.

La situazione del monte Penice al 4 gennaio é tutto fuorchè rosea, assenza totale di neve e temperature attorno ai 7/8 gradi senza precipitazioni e così il comprensorio sciistico del Passo Penice è rimasto chiuso per le festività natalizie e probabilmente rimarrà chiuso anche nei prossimi giorni.

Con un post sulla pagina Facebook la comunicazione agli appassionati delle piste: “Ci abbiamo provato in tutti i modi ma per non rischiare continue aperture e chiusure si è deciso di attendere condizioni meteo decisamente più invernali”.

Appennino senza neve, Legambiente: “Non chiamiamola emergenza, è la nuova normalità”.

Le previsioni meteorologiche non lasciano intravedere nessuna svolta a breve termine: anche nei prossimi giorni sono previste temperature al di sopra della media del periodo e mancanza di precipitazioni nevose considerevoli.

Una situazione che riguarda tutta la montagna dell’Emilia Romagna; e la notizia che la giunta dell’Emilia Romagna, a nome del suo presidente Bonaccini e dell’assessore Corsini, starebbero per chiedere un confronto col Governo sul tema della crisi della neve nelle stazioni Appenniniche non rincuora più di tanto gli operatori del settore.

La notizia non rincuora affatto tutti coloro che vivono di turismo in montagna, con due finestre quella estiva e quella invernale come soli periodi di guadagno, se togliamo la neve ben poco rimane.

Inoltre non si capisce come sia possibile non rendersi conto che, a fronte di una crisi globale come quella climatica non è possibile rispondere con provvedimenti di piccolo respiro che non vogliono accettare che per i prossimi 100/150 anni di neve sotto i 1500/1700 mt in Appennino ne vedremo sicuramente poca.

Invece tra le proposte che avanza la nostra regione purtroppo non c’è traccia di un’idea di ripensamento del modello turistico attuale che attualmente vuol dire impianti di risalita, piste da sci, ma anzi si parla addirittura di nuove tecnologie per mantenere la neve artificiale anche con temperature più elevate (Ps vorrei sapere come queste nuove tecnologie sono ecocompatibili, mha!!!)!

Si tratta evidentemente di una completa sottovalutazione delle cause e degli impatti veri del cambiamento climatico e del fatto che la situazione di quest’anno non può che diventare una costante, con temperature sempre più in crescita.

Dunque un trend che mette il settore turistico di fronte alla necessità di cambiare l’offerta invernale, non di inseguire presunte soluzioni tecnologiche fallimentari, sovvenzionate con soldi pubblici.

E’ giusto e necessario supportare le aree fragili dell’Appennino

Certo siamo tutti d’accordo che in una situazione di emergenza dobbiamo aiutarci gli uni con gli altri, ma questa è ancora una situazione di emergenza? Fino a quando dovremo continuare ad alimentare l’illusione di poter prolungare un modello di turismo e sviluppo senza futuro.

La situazione degli ultimi anni, con il continuo aumento delle temperature e la costante diminuzione del “periodo delle precipitazioni” (sia in termini di quantità che di durata) non sono più da considerarsi eventi straordinari.

Se a questo aggiungiamo la superficialità di alcuni amministratori che nel corso degli ultimi 25/30 anni si sono fatti ingolosire da mirabolanti promesse di affaristi dalla dubbie capacità e calendoscopici grafici …il disastro è bello e servito.

Gli impianti per la neve artificiale sono energivori, richiedono grandi quantitativi di acqua e mi permetto di sollevare anche qualche dubbio sulla loro impronta ecologica.

Aipo registra alla data odierna di una carenza di acqua rispetto al necessario di circa il 40 % “L’unica soluzione è quella di avviare un percorso serio e strutturale – afferma Legambiente – di diversificazione dell’offerta turistica, diretta ad una fruizione più consapevole del suo impatto ambientale e più diluita nel tempo che superi il period giugno-luglio-agosto e dicembre-gennaio, superando una visione anni ‘80 che non è più sostenibile sia per ragioni di clima che di modeli turistici oggi decisamente superati.

Occorre lavorare con gli operatori per dare loro una prospettiva credibile, investendo nella strutturazione di proposte che meglio si adattino alla realtà del turismo del terzo millennio.

PS: da geologo non entro nemmeno nel discorso stabilità dei pendii vs costruzione di piste da sci.

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