Fresco di recente pubblicazione, settembre 2023, Apertura senza fine, edito da Versante Sud, è la storia dell’arrampicata romana, e di come la scuola della SUCAI si sia affermata a tutti gli effetti nella Capitale. Il titolo prende il nome da una via aperta da Fabio Delisi e Simone Gozzano nella falesia di Sperlonga, la prima vera mecca dei falesisti romani, nei primi anni ’80. Mentre apertura significa l’inizio di una nuova “era”, senza fine indica tutto quello che c’è da esplorare nelle pareti a picco sul mare o in pianura, cercando difficoltà oggettive e tecniche senza doversi recare per forza in montagna.

L’autore Emanuele Avolio ha scritto il libro, frutto di approfondimenti ed interviste ai protagonisti, con l’obiettivo di fornire un quadro complessivo di quello che è stata per i romani l’arrampicata su roccia e la crescita nel suo complesso, permettendo al lettore di orientarsi sulla storia e sull’evoluzione della stessa.

Il volume illustra i principali personaggi che hanno avuto modo di lasciare un segno nelle falesie o nelle montagne del centro Italia ed anche all’estero. Molto frequentate sono state, ad esempio, le falesie francesi del Verdon e dell’Eaux-Claires, dove Alessandro “Jolly” Lamberti nel 2001 è stato il primo italiano a liberare un 9a salendo Hugh. Essendo una costola dell’alpinismo, l’arrampicata sportiva era praticata principalmente dagli alpinisti, o cultori della montagna, che si formavano nella SUCAI, Sottosezione Universitaria del Club Alpino Italiano, nata nel 1908 (soppressa nel periodo fascista e poi ricostituita nel novembre ’46), composta principalmente da giovani universitari che avevano trovato un modo per distaccarsi dalla gerarchia dominante del CAI per cui l’arrampicata era perlopiù uno strumento per praticare l’alpinismo.

La scuola vede in Gianni Battimelli il mentore per eccellenza dell’arrampicata, mentre in Rys Zaremba il “capofila nel tentare in libera i passaggi delle vie aperte in artificiale nelle palestre, imitando alla falesia del Morra, vicino Tivoli, quello che inglesi e francesi facevano sulle loro fessure e soprattutto introduce l’uso delle scarpe morbide al posto degli scarponi tradizionali”, riprendendo così alcune consuetudini degli scalatori dell’‘800. 

Fondamentale è la figura di Pierluigi Bini, che tra il ’75 ed il ’79 si mette tanto in mostra che lo si può considerare “lo spartiacque della storia dell’arrampicata romana non solo per quel che ha compiuto lui, ma anche per quello che ha ispirato negli altri”, in quanto cambia radicalmente i pensieri e l’approccio alla montagna avventurandosi slegato ed anche lui con scarpe di gomma, le famose Superga. Calzature che hanno rappresentato la svolta per molti praticanti, tra cui Luca Grazzini che “spingeva al massimo le possibilità delle Superga, testandole sui calcari di Sperlonga e rodandole sul Gran Sasso” e Dolomiti.

La consacrazione definitiva arriva da un alpinista di fama internazionale, Alessandro Gogna, quando nel 1981 pubblica la guida Cento nuovi mattini, seguita l’anno successivo da Mezzogiorno di pietra che consacrano “le conquiste degli arrampicatori romani nelle loro pareti sul mar Tirreno” nelle quali si identifica l’arrampicata come una disciplina fine a sé stessa nella Capitale.

Fino ad arrivare al 1983, l’anno spartiacque, quando Paolo Caruso, guida alpina, sulla via Il lungo cammino dei Comanches, a Sperlonga, pianta uno spit ad espansione per calarsi dall’alto e poi superare un tettino di sesto grado superiore, segno che indica in via definitiva la nascita dell’arrampicata sportiva romana.

Seppur tutti i praticanti si siano formati presso il CAI (Club Alpino Italiano), esso negli anni ’80 smetterà di avere un ruolo centrale nella formazione di chi vuole approfondire il mondo della montagna.  La “scoperta”, dal punto di vista arrampicatorio, di Sperlonga ha segnato un’aggiunta topologica al divario culturale che si era creato col gruppo dei più forti avanguardisti della SUCAI.

Negli anni successivi il successo della disciplina ha attirato sempre di più sponsor ed interessi commerciali, proiettando l’arrampicata nel mondo del mercato. Con le prime competizioni si sono creati dei circuiti internazionali tramite i quali era possibile costruirsi una carriera sportiva. In questo periodo spicca il romano, già noto nel settore, Andrea Di Bari che sfruttando l’onda dell’agonismo è riuscito ad affermarsi tra i migliori arrampicatori del mondo.

Competizione e rivalità che già esistevano, in maniera non ufficiale, tra gli addetti al settore che, seppur con astio nell’animo, hanno permesso di raggiungere risultati eccellenti. Questo tipo di competizione e rivalità ha spronato l’esplorazione per andare a trovare le vie più belle e difficili da affrontare.

Tanto che dopo Sperlonga, sono state scoperte falesie come Grotti, Ferentillo, Pietrasecca, il grottone dell’Arenuta, Ripa Maiala, Frosolone dove si sono cimentati i migliori scalatori aprendo innumerevoli vie. Nel testo è descritta in maniera precisa e dettagliata anche l’evoluzione dell’abbigliamento, dai pantaloni, maglie tecniche e scarpe ed il superamento delle scarpe di gomma con le scarpette da arrampicata.

Arricchiscono il libro tanti aneddoti legati alle scalate e ad episodi di convivenza goliardici dei vari arrampicatori, segno di come nel corso degli anni si siano formate amicizie che resistono ancora oggi. Alcune volte le relazioni formatisi legandosi in cordata hanno portato anche alla creazione di marchi di abbigliamento, società ed aperture di palestre di arrampicata. Il successo ha fatto sì che si siano formate diverse palestre indoor, a Roma e nel Lazio, che consentono di sviluppare tecniche ed esercizi di allenamento per poi testare le proprie abilità nelle falesie all’aperto.

La ricerca del passaggio sempre più difficile è sfociata poi nel boulder, o sassismo. Un’attività ancora più estrema che – come scrive l’autore – “sarebbe divenuta commercialmente la formula vincente per la divulgazione dell’arrampicata al grande pubblico delle palestre”. Nel centro Italia ha avuto il suo epicentro a Meschia, in provincia di Ascoli Piceno, per poi diffondersi anche nel Lazio.

Si evince che anche i romani hanno avuto un ruolo nella progressione che ha condotto l’arrampicata a diventare prima uno sport con campionato mondiale e poi una disciplina olimpica, come a Tokyo 2020. Occasione che ha permesso l’allargamento ulteriore sulla scena mainstream diffondendosi nelle pubblicità, video musicali e film.

Si ringrazia l’editore Versante Sud che ha reso possibile questa recensione. Potete acquistare il volume qui.

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