La Chiaraviglio-Berthelet al Corno Piccolo è una via storica, aperta nel 1918, una delle prime alpinistiche nel settore. Percorre quasi tutta la cresta SO, aggirando torrioni, passando su cenge, con un percorso interessante, panoramico e mai difficile. Le difficoltà non superano mai il III grado, ma attenzione a sottovalutare il III grado gransassiano!
Avvicinamento e attacco
Dal Rifugio Franchetti, in poco più di 20 minuti si giunge facilmente alla Sella dei Due Corni. Si prosegue brevemente, scendendo dal versante opposto, tenendosi vicini alle pareti, fino ad intercettare una traccia che porta direttamente verso l’attacco, indicato da un triangolo verde.
Descrizione della via
Attacchiamo la via con un vento sferzante che ci accoglie appena valichiamo la sella dei Due Corni, saliamo in conserva il camino iniziale, sotto lo sguardo incuriosito di un camoscio. Christian passa poi, assicurato da noi alla prima sosta, la prima fessura orizzontale da fare in Dülfer. Ben protetta da un chiodo e da un friend lasciato (involontariamente?) da una precedente cordata la fessura di III è sicuramente un passaggio che mette subito alla prova. Si arriva così ad un altro canale camino alla destra della punta dei Due che risulta sbarrata da un masso verticale che oppone un muro che decisamente non sembra essere di III. Massimo, che ha il 7a in falesia, si ingaggia e passa; sia io che Christian avremmo faticato molto, nonostante il chiodo e i due spit, e non sono certo saremmo riusciti a passare facilmente. Da altre relazioni scopriamo poi che passandolo a destra oppone difficoltà più coerenti con il grado dichiarato. In cima al masso ci troviamo sulla cengia erbosa che guarda il Franchetti, e risaliamo un canale che porta ad una forcella che affaccia l’altro versante. Li ci troviamo appena sotto la normale della Punta dei Due, ma non siamo li per fare cime, e dopo qualche foto in quel posto magico, andiamo avanti, fra crestine, massi e scorci. Si passa per la famosa “Finestra della Chiaraviglio” e ovviamente decido di farmi una foto a cavalcioni. Subito dopo, una strettoia fra due lastroni inclinati, mette a dura prova la resistenza degli zaini. Si prosegue per un altra piccola cengia, e poi un nuovo canale sotto la Torre Cichetti e che porta al famoso “pozzo”. Anche qui le difficoltà delle relazioni originarie sono sottostimate; si ipotizza di poterlo scendere disarrampicando con difficoltà di III, ma noi, visto il bel fix con anello inox, in 5 minuti approntiamo una doppia e scendiamo giù per circa 8 metri nella strettoia, atterrando su una sorta di “corridoio” accidentato in discesa che porta ad un ballatoio e poi ad una doppia sosta a cordoni prima di un altra parte difficile, quella della famosa foto storica, la “cengia a pendolo”. Mandiamo avanti Massimo che, dopo aver brevemente camminato sulla cengia, ed inutilmente provato a mettere un friend (a proposito, più avanti ne trovo un altro incastrato), si appende al bordo della cengia e passa in maniera obbligata, procedendo poi per rocce più facili fino alla seconda scala della Danesi, dove appronta una sosta. Non gli abbiamo lasciato una radio, quindi la comunicazione è difficile ed avviene come una volta, strattonando le corde. Parte Christian, e passa; prima di girare l’angolo dá il comando a Massimo che recupera anche me. Quando arrivo al punto in cui devo mettere i piedi giù ed appendermi con le mani, trovo tutto molto facile, il bordo della cengia è netto e rappresenta un appiglio perfetto per le mani. I piedi sono praticamente lasciati liberi nel vuoto, sulla placca che precipita sulle ghiaie della Danesi, e non è difficile camminare in aderenza tirando la fessura in Dülfer. Un passaggio bellissimo, spettacolare e caratteristico. Arrivati alla Danesi cambiamo configurazione, mettiamo via le corde, ci mettiamo gli scarponi e salutiamo Massimo, che procede (senza terminare la Chiaraviglio-Berthelet sulla fessura finale) sulla Danesi per la vetta, mentre noi, per evitare di fare troppo tardi e visto il maltempo in arrivo, decidiamo di scendere velocemente.